Il valore sociale della camorra

Il valore sociale della camorra

La morte del boss di camorra Raffaele Cutolo deve far riflettere sulla narrazione che in Italia si fa delle mafie e quella che si fa delle vittime innocenti di mafie

Quando ero caporedattore di Radio Siani, la web radio intitolata al giornalista Giancarlo Siani, per diversi anni abbiamo realizzato laboratori nelle scuole del territorio. Laboratori di diversa natura. Ma uno su tutti mi è rimasto impresso. Chiedevamo agli studenti se conoscessero persone. Alcune ancora in vita. Altre morte. Quelli ancora in vita erano boss di camorra, di mafia. Quelli deceduti erano vittime innocenti di criminalità. Come lo è Giancarlo Siani, il giornalista abusivo de Il Mattino, assassinato il 23 settembre 1985. Aveva 26 anni. Siani è il più giovane cronista morto ammazzato per mano della criminalità organizzata.

Quando facevamo il nome di Siani, molti ragazzi si chiedevano se stessimo parlando di Alessandro, il comico napoletano. Giancarlo ha pagato con la vita il suo impegno, la sua voglia di scavare a fondo negli intrecci tra camorra e politica. Tra gli altri nomi che facevamo agli studenti delle scuole del napoletano c’erano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E qualcuno rispondeva di aver sentito parlare dei giudici siciliani uccisi dalla mafia con le rispettive scorte nel ’92. E ancora Gigi Sequino e Paolo Castaldi, due ragazzi di 20 e 21 anni, uccisi vent’anni fa da un commando che li scambiò per nemici del clan di appartenenza. E nessuno di loro ne aveva mai sentito parlare. E decine di altri nomi. Le vittime innocenti sono quasi mille. I ragazzi quasi mai dicevano di conoscere le vittime. Spesso neanche quelle più vicine territorialmente o temporalmente.

Gionta, Giuliano, Schiavone, Zagaria. Questo sono i nomi di alcuni camorristi. Quando facevamo questi nomi la quasi totalità rispondeva di sapere conoscerli. Ed alcuni sapevano anche raccontarne le gesta criminali. Stesso discorso valeva per Raffaele Cutolo. Quando ieri ho appreso la notizia della sua morte mi è tornato in mente questo laboratorio nelle scuole. Mi sono tornati in mente i ragionamenti che facevamo con i colleghi di allora. Di quanto fossero importanti quegli incontri per raccontare delle vittime innocenti. Per far capire loro che la camorra non è da mitizzare. Come molto letteratura, serie tv fanno. E non è un attacco alle scelte editoriali, legittime. Questo è più un invito ad investire anche sulla narrazione di chi si è battuto contro le organizzazioni criminali. Di chi ha perso la vita. Sono ancora poche le esperienze di questo genere.

Quando ieri ho letto della morte di Cutolo ho fatto una lunga riflessione sul ruolo della camorra. Un ruolo culturale, anche per la narrazione che ne viene fatta. Basta pensare alle paginate che gli sono state dedicate qui quotidiani di oggi. Ma non solo. Anche per quello che si vive ogni giorno per la strada. Anche l’aggressione dell’altro giorno in sette contro un ragazzo è un’azione criminale. Un valore sociale. Non solo perché dà lavoro a molte persone all’interno del sistema criminale. Ma perché in alcuni territori è l’unica risposta per tante persone. In territori come Scampia, da dove proprio ieri il presidente della Municipalità ha scritto a Draghi, chiedendogli di investire nelle periferie. Anche per evitare che la camorra sia l’unica risposta in quei territori.

@ciro_oliviero
direttore editoriale dalSociale24

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