Nella notte tra il 3 e il 4 agosto del 1974 un attentato terroristico scosse l’Italia. Attorno all’una e quarantasette di notte la bomba collocata in un vagone della quinta carrozza dell’Espresso 1486 Italicus, che transitava presso San Benedetto Val di Sambro, vicino Bologna, esplose causando 12 morti e molti feriti. Sul treno diretto da Roma a Monaco di Baviera, nel tentativo di salvare la vita ad alcuni passeggeri morì anche il ferroviere Silver Sirotti. Il 14enne Marco Russo fu la vittima più giovane. L’esplosione causò un vasto incendio.

L’attentato fu rivendicato attraverso un volantino. «Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare […] seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti», si leggeva nel documento di rivendicazione del fatto. Uno dei più gravi attentati degli anni di piombo assieme alla strage di piazza Fontana e alla strage di Bologna del 2 agosto 1980.

La prima inchiesta sulla strage si concluse il 1 agosto 1980 con il rinvio a giudizio degli estremisti di destra Mario Tuti, Luciano Franci e Piero Malentacchi quali esecutori materiali, di Margherita Luddi per detenzione di armi, Emanuele Bartoli, Maurizio Barbieri e Rodolfo Poli per ricostituzione del partito fascista e Francesco Sgrò per calunnia. Il 20 luglio 1983 la Corte d’Assise di Bologna assolse gli imputati per insufficienza di prove.

Il 18 dicembre 1986 la Corte d’Assise d’Appello di Bologna annullò le assoluzioni di Mario Tuti e Luciano Franci che vennero condannati all’ergastolo quali esecutori della strage. Quasi un anno dopo il giudice Corrado Carnevale annullò la sentenza. La conclusione arrivò con la Cassazione del 1992 che assolse gli imputati sottolineando però che la matrice degli attentati era «da identificare in quella di gruppi eversivi della destra neofascista».