Decreto Salvini, non tutto è perso

Decreto Salvini, non tutto è perso

L’articolo 43 del codice civile dice che la residenza coincide con la “dimora abituale”

Il decreto sicurezza del governo giallo- verde è probabilmente il provvedimento che meglio di tutti manifesta senza pudore il volto disumano del governo, che dichiara guerra senza alcun infingimento alle povertà e alle marginalità. I governi precedenti avevano cercato sulla stessa traccia di trovare un difficile equilibrio tra diseguaglianze economiche, bisogno di sicurezza e i flussi migratori di uomini, donne e bambini, che semplicemente fuggono dalle miserie e dalle guerre dei paesi di origine, abbandonando ambienti inospitali per cercarne di più propizi. Un fenomeno tanto naturale, quanto inevitabile, di cui bisognerà farsi carico, almeno per un duplice ordine di motivi: il primo, perché le migrazioni sono spesso l’effetto socio-economico dello sfruttamento dei paesi occidentali. In secondo luogo, perché respingere e rifiutare di governare quest’urgenza del futuro prossimo, significa in modo miope condannarsi all’insicurezza permanente. In un tale contesto, si inserisce lo scontro politico istituzionale di quei sindaci, che hanno scelto di opporsi alle conseguenze aberranti del decreto Sicurezza. E’ una scelta coraggiosa di disobbedienza civile quella di violare una legge dello Stato, perché ingiusta, disumana e priva di effetti benefici a lungo termine.

I punti sui quali i sindaci hanno deciso di aprire lo scontro sono essenzialmente quelli inerenti le intervenute modifiche alle previgenti leggi in materia di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo. In particolare, il Decreto Salvini ha abrogato le modalità di iscrizione all’anagrafe civile dei Comuni per i richiedenti asilo accolti nei centri di accoglienza governativi e negli Sprar (art. 5 bis del D.Lgs. n. 142/2015). Inoltre, all’articolo 4 del medesimo decreto legislativo si è aggiunto il comma 1 bis, in base al quale il permesso di soggiorno per la richiesta asilo non costituisce “titolo per l’iscrizione anagrafica”, come invece precedentemente previsto, anche dal Testo Unico sull’immigrazione.

Gli scenari giuridici che si possono immaginare di fronte ad un scontro all’ok correal, tra lo sceriffo Ministro degli interni e i disobbedienti Sindaci sono molteplici e di non facile prevedibilità, a causa degli innumerevoli fattori in campo da scrutinare e dalla complessità delle funzioni dei soggetti istituzionali coinvolti. Di certo l’intenzione dichiarata degli stessi sindaci è quella di aprire un processo di marca penale o amministrativo, dove sollevare l’incostituzionalità del Decreto Salvini, per violazione dei parametri costituzionali e di quelli sovranazionali. Infatti, l’accesso di un ricorso alla Corte Costituzionale non può essere diretto come accade in Germania (Verfassungsbeschwerde) o nei paesi latino-americani, ma deve necessariamente essere introdotto da un Giudice che ritenga la questione non manifestamente infondata. Anche le Regioni possono sollevare un conflitto costituzionale, laddove ritengano, tramite l’articolo 117 che la legge nazionale vada ad invadere sfere di sua competenza. Sui temi per esempio della salute, assistenza sociale e dell’istruzione, che sono materie a legislazione concorrente, che vengono direttamente vulnerate dall’abrogazione della protezione umanitaria prevista dal decreto Salvini. E gli stessi migranti potrebbero sollevare un conflitto costituzionale, introducendo un ricorso d’urgenza ex articolo 700 c.p.c. innanzi al giudice civile per chiedere la tutela dei diritti soggettivi fondamentali e costituzionalmente protetti.

Le conseguenze immediate, però, per i sindaci disobbedienti potrebbero rivelarsi molto pericolose, infatti il rifiuto di applicare la legge dovrebbe attivare l’iniziativa dei prefetti che sarebbero tenuti a denunciare loro e gli ufficiali dell’anagrafe, nelle ipotesi in cui, essi contra legem iscrivessero all’anagrafe i migranti. Il reato che potrebbe essere loro contestato sarebbe l’abuso d’ufficio, aggravato dal fatto che i primi cittadini in materia di anagrafe agiscono come ufficiali di governo, con tutte le conseguenze penali e anche interdittive previste dalla legge Severino, in caso di condanna in primo grado. Ci sarebbe inoltre anche la possibilità di una revoca del mandato, che il Testo unico sugli enti locali demanda al ministro dell’Interno, ma solo in casi di “gravi e persistenti violazioni di legge”. Orbene, difronte ad un panorama cosi fosco è opportuno provare a scovare nella sessa interpretazione della legislazione vigente delle soluzioni “ponte” che siano conformi alla legge, ma che assicurino ai migranti anche i diritti minimi costituzionalmente garantiti. Infatti la somministrazione di molti dei diritti socio-assistenziali sono subordinati all’iscrizione del migrante all’anagrafe civile, che il decreto Salvini ha abrogato.

Decreto Salvini, tutto è perduto? Probabilmente non tutto è perso.
Ebbene, a ben vedere, il decreto Salvini non ha introdotto alcun divieto esplicito di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, ma si è limitato ad abrogare gli articoli 4 e 5 del decreto legislativo 142 del 2015, che prevede la possibilità e i modi di iscrizione all’anagrafe civile dei comuni, lasciando invece vigente e immodificato quella parte in cui si impone al richiedente asilo di comunicare alla Questura il proprio domicilio o la propria residenza e tutte le successive mutazioni. Non vi è allora chi non possa vedere come tale obbligo, così come confermato dal decreto Salvini, presupponga che il richiedente asilo possa avere residenza nel territorio dello Stato. Viene cambiata, non la possibilità o meno di iscriversi all’anagrafe civile, ma unicamente la modalità di iscrizione, che precedentemente erano previste con modalità semplificate (e speciali). Per l’iscrizione all’anagrafe per i richiedenti asilo, non si possa immaginare altra conseguenza che la mera riespansione dell’applicazione della normativa generale sull’iscrizione anagrafica degli stranieri, prevista dal Testo Unico sull’immigrazione (D. Lgs. n. 286/1998) il quale prevede all’art. 6, comma 7, che le “iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalità previste dal regolamento di attuazione”, puntualizzando altresì che “in ogni caso la dimora dello straniero si considera abituale anche in caso di documentata ospitalità da più di tre mesi presso un centro di accoglienza”. L’articolo 43 del codice civile dice che la residenza coincide esattamente con la “dimora abituale” (così come previsto all’articolo 3 del D.P.R. 223 del 1989 in tema di regolamento anagrafico della popolazione residente), in assenza di altri titoli, la residenza per lo straniero viene a coincidere con il centro di accoglienza in cui sia ospitato da almeno tre mesi. Deve, inoltre sottolinearsi come sia precipuo dovere dell’ufficiale d’anagrafe quello di provvedere anche d’ufficio “alla regolare tenuta dell’anagrafe della popolazione residente”, cosicché anche laddove manchi la dichiarazione di dimora di residenza dello straniero debba essere egli stesso ad iscriverlo ai sensi dell’articolo 4 della legge 1228 del 1954.

Qualora l’ufficiale d’anagrafe accerti che non siano state rese le dichiarazioni circa la residenza o la dimora alle quali sia i cittadini italiani che stranieri sono tenuti ai sensi dell’articolo 13 del DPR 223 del 1989, deve invitare gli interessati a fornirle. Nel caso di mancata dichiarazione, infine, l’ufficiale di anagrafe provvede ai conseguenti adempimenti (art. 15 DPR 223/1989) e cioè procede d’ufficio all’iscrizione o alla variazione. Ebbene, allora si può ragionevolmente affermare che alla luce di tale ricostruzione i sindaci disobbedienti possano agevolmente richiedere, senza alcuna conseguenza sul piano legale, che si provveda alle iscrizioni dei richiedenti asilo, in quanto il decreto Salvini se ha certamente reso più farraginosi i meccanismi di iscrizione, non ha privato del relativo potere gli ufficiali d’anagrafe, che continuano ad essere tenuti a procedere alle relative iscrizioni, sulla base di accertamenti ed indagini circa l’effettività ed abitualità della dimora del richiedente asilo.

Michele Arcangelo Lauletta
Federconsumatori Campania

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