(Non) c’è 3 senza 2, il film che rompe il silenzio

(Non) c’è 3 senza 2, il film che rompe il silenzio

Una coppia alle prese con il desiderio di diventare genitori e con le fragilità che questo percorso può portare a galla

La genitorialità che non arriva subito, le attese che si fanno silenzi, le risate che servono per non crollare. C’è tutto questo, e molto di più, in (Non) c’è 3 senza 2, un corto approdato su Amazon Prime Video, dopo un percorso inaspettato quanto coraggioso. Al centro della storia, una coppia alle prese con il desiderio di diventare genitori e con le fragilità che questo percorso può portare a galla. Antonio Esposito, autore e interprete del progetto insieme al collettivo Gli Scusateci, ci racconta cosa significa parlare di infertilità con leggerezza, senza retorica, partendo da esperienze vissute e trasformandole in una storia tutta da scoprire.

Inizia come una webserie autoprodotta e oggi è disponibile su Amazon Prime Video. Un bel salto. Come ci siete arrivati?
«In modo del tutto inaspettato. Quando abbiamo iniziato a lavorare a questo progetto mai ci saremmo aspettati una cosa del genere. E’ sempre difficile per una produzione indipendente riuscire ad emergere e soprattutto farlo finendo su una piattaforma così importante. Credo sia comunque frutto di un lavoro qualitativamente buono, che ci ha permesso di essere notati dalla EasyCinema e dalla Mechanismo srl, che hanno deciso di puntare su questa serie trasformandola in un film a capitoli e distribuendola al momento solo su Amazon Prime, ma speriamo a breve anche su altre».

Il tema centrale è la ricerca di un figlio. Come avete scelto di affrontarlo?
«Abbiamo scelto di affrontarlo con leggerezza, ma senza banalizzarlo. Ci interessava raccontare non solo il desiderio di diventare genitori, ma anche le fragilità, le aspettative e, perché no, anche le discussioni che emergono lungo un percorso del genere. L’ironia ci ha permesso di toccare aspetti profondi con delicatezza, restando fuori dai luoghi comuni».

Quando avete sentito l’urgenza nel raccontare questo tema?
«In realtà c’è stato un periodo in cui io stesso mi sono ritrovato a vivere alcune delle situazioni che si vedono nel film, non così estremizzate ovviamente. La mia bambina, che oggi ha 7 anni, è arrivata dopo quasi un anno di tentativi. L’idea è nata in quel periodo. Il soggetto quindi l’avevo appuntato sul mio quaderno delle idee da un po’, ma come spesso mi succede ho avuto la lucidità di lavorarci a cose fatte diciamo, quando ormai erano situazioni che riuscivo a guardare con distacco».

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Che reazioni avete avuto da parte del pubblico?
«Tanta empatia. Molti ci hanno scritto per dirci che si sono rivisti nelle storie dei protagonisti, che si sono sentiti meno soli, che ricordavano quelle sensazioni che si vedono nel film. C’è chi ha sorriso, altri si sono emozionati. Per noi è stato il segnale che eravamo riusciti a dare autenticità alla storia. E questo è stato il riconoscimento più bello».

Avete scelto un linguaggio semplice, quotidiano, a volte ironico. Ce ne vuoi parlare?
«È stata una scelta voluta fin dall’inizio, anche perché non so scrivere diversamente. Volevo che i personaggi parlassero come la gente che vedo ogni giorno. La semplicità di linguaggio ha contribuito a rendere la storia credibile, vicina. L’ironia, invece, è servita proprio per raccontare anche i momenti più difficili senza renderli eccessivamente pesanti».

Cosa vi augurate che lasci questo film in chi lo guarda?
«La consapevolezza che se un figlio non arriva non c’è nulla di sbagliato. Che se ne può parlare tranquillamente, con gli altri ma soprattutto con sé stessi ed il proprio partner. Ci sono ancora tanti tabù intorno a questa tematica, e magari vedendo il film viene voglia di raccontare quello che si sta vivendo. Perché magari un percorso condiviso può diventare più leggero».

Stefano Malla

Redazione
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