Insegnare l’italiano agli stranieri

Insegnare l’italiano agli stranieri

Licet è un’associazione che ha messo insieme dopo il Covid più di 40 scuole di italiano per stranieri in Italia

Esiste un mondo sommerso, a cavallo tra cultura, turismo e scuola. È quello delle scuole di lingua italiana per stranieri. Ne abbiamo parlato con Rita Raimondo insegnante di Italiano per Stranieri e direttrice della scuola NaClips.

«Sommerso, è vero. Ma in Italia – ci racconta Rita Raimondo -. Nel senso che le nostre scuole sono molto conosciute all’estero. Moltissimi stranieri seguono le nostre attività, si iscrivono ai nostri corsi, fanno viaggi di istruzione. E vengono nelle nostre città per il richiamo della nostra cultura, certamente, ma anche perché c’è chi come noi sa accoglierli e rispondere alle loro richieste».

Un settore, quello delle scuole di lingua italiana per stranieri, che negli ultimi anni si sta affermando sempre di più così come i progetti ad esso correlati, come Licet.
«L’Italiano per stranieri gode sempre di più dell’attenzione di molti, è vero. Basti pensare ai corsi universitari specializzati, alle certificazioni richieste per lavorare, in Italia e all’estero, dalle scuole di questo settore, alle giornate di formazione per gli insegnanti. Ma purtroppo questo è un mondo ancora troppo spesso associato, per la pubblica opinione e purtroppo anche per le istituzioni, alla scuola intesa come scuola che tutti conosciamo, fatta di voti, interrogazioni, compiti in classe, gruppi numerosi. Le scuole di Italiano per Stranieri invece sono scuole nel senso etimologico di spazio deputato a soddisfare le proprie esigenze culturali, la propria sete di sapere, il bisogno di arricchire il proprio bagaglio di conoscenze. Chi si iscrive alle scuole d’italiano per stranieri vuole conoscere la lingua e la cultura dell’Italia. Perché, sostanzialmente, ne è affascinato. Questo è il concetto di scuola che intendiamo. E per questo è nata Licet, un’associazione che ha messo insieme più di 40 scuole in tutta Italia subito dopo la fine della quarantena a cui ci ha costretti il Covid-19. Sentivamo tutti il bisogno di aggregarci, di confrontarci, di risolvere i problemi causati dalla crisi e di richiedere l’attenzione delle istituzioni sul rischio a cui era esposto il nostro settore. Siamo praticamente invisibili nei piani di rilancio del nostro governo, eppure abbiamo un ruolo importante nell’economia e nella promozione del turismo».

Napoli prima del lockdown stava vivendo uno dei periodi migliori sotto il punto di vista del turismo. In che modo una scuola come la vostra può aiutare il settore a risollevarsi?
«Quando parliamo di turismo, noi che lavoriamo in questo tipo di scuola, non intendiamo mai un turismo mordi e fuggi o turismo di massa. Il tipo di turismo a cui ci riferiamo è fatto di viaggiatori di fascia sociale e culturale medio-alta o molto alta che vengono in Italia conquistati dalla sua bellezza, dalla sua storia. Che hanno realmente fame di tradizioni, di musiche, di piatti gustosi. Sono viaggiatori interessati alla lingua, ai suoi suoni, alla sua evoluzione. Vengono per immergersi in una realtà che li emoziona e diventano i principali ambasciatori all’estero dei nostri territori. Loro si fermano in Italia a lungo, non due giorni. Spesso ritornano ogni anno, spesso suggeriscono questo viaggio ai loro amici. Investono in corsi di lingua, visite guidate, percorsi formativi di ogni genere. Affittano appartamenti o camere d’albergo, si mescolano con gli abitanti del posto per vivere come loro e generano un indotto turistico alberghiero estremamente elevato. Questa è una fetta di turismo indispensabile, adesso e sempre».

Se potesse fare un appello al governo cosa chiederebbe?
«Due cose: la prima è di considerarci nei piani di rilancio per quello che siamo, non scuole di ogni ordine e grado, ma imprese culturali che dovrebbero essere tutelate in particolare dal ministero dei Beni Culturali. Fino a giugno del prossimo anno le iscrizioni saranno assolutamente inconsistenti: abbiamo bisogno di supporti legati alle nostre reali caratteristiche. La seconda è di considerarci partner che possono supportare lo Stato proprio nel rilancio del turismo culturale: duecento centri di soggiorno linguistico e di viaggio-studio sparsi per la nazione (tante sono nel loro insieme le scuole d’italiano) sono duecento calamite capaci di attrarre stranieri e di dare un forte impulso al rilancio di quel turismo importante di cui tanto si parla nei piani di rinascita del Paese. Ogni scuola dispone di indirizzari, di contatti, di piccole macchine propagandistiche capaci di invogliare gli stranieri a tornare in Italia; ogni scuola ha fatto questo per anni, solo per sviluppare la propria attività e ora si può farlo tutti insieme nell’interesse del Paese. È così assurdo pensare che lo Stato ci sostenga con borse di studio, con promozioni della nostra attività che tornerebbero decuplicate in indotto turistico?»

Stefano Malla

Redazione
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